giovedì 18 ottobre 2012

Coltivatori di mais in ginocchio Il nuovo nemico è l'aflatossina EMERGENZA NELLA BASSA. Gli agricoltori hanno i depositi pieni: colpa del fungo tossico che ne impedisce il commercio. I limiti restrittivi della normativa stanno creando grossi problemi anche ai produttori di mangimi obbligati a rifornirsi all'estero




Dopo la siccità che ha dimezzato i raccolti di mais, è la volta delle tossine. Non c'è proprio pace per il settore agricolo: il nuovo nemico, capace di mettere in ginocchio i coltivatori, si chiama aflatossina, un fungo cancerogeno che attacca le piante di mais destinate all'alimentazione animale rendendo il prodotto non commercializzabile. Di fronte all'ennesima emergenza che incombe sul comparto primario, in municipio a Cerea si sono riuniti una quindicina tra agricoltori e produttori di mangimi della Bassa veronese per fare il punto della situazione e decidere il da farsi.  I centri di raccolta e i mangimifici, infatti, non acquistano il granoturco contaminato perché presenta valori superiori a quelli tollerati dalle leggi della Comunità europea. I limiti normativi consentono l'utilizzo dei cereali per scopi zootecnici e dell'alimentazione umana quando l'aflatossina non è superiore a 20 parti per bilione (ppb) e 5 (ppb) nel caso di animali da latte: valori superati di gran lunga in molti raccolti della Pianura padana. «È una situazione imbarazzante», ha esordito Claudio Zanon, imprenditore di Minerbe nel settore mangimi e ammassamento, «dobbiamo pianificare la nostra produzione, siamo costretti ad acquistare il mais che rispetta i parametri da Austria, Serbia e Polonia, nazioni meno colpite dalla siccità». Il prezzo d'acquisto del mais estero è più elevato, ma per gli imprenditori è impossibile fare diversamente. Il prodotto contaminato è legale per l'utilizzo energetico, ma così il prezzo cala del 40 per cento rispetto agli altri usi.  «Le aziende agricole rischiano il tracollo se non saranno presi provvedimenti, serve una deroga alla normativa europea che alzi i valori di legalità del mais contenente aflatossina, garantendo al contempo la tutela del consumatore», ha aggiunto Zanon. A far arrabbiare gli addetti del settore è il fatto che negli Stati Uniti lo stesso mais, stipato in migliaia di quintali nei magazzini delle aziende italiane, sarebbe idoneo per gli utilizzi vietati nel vecchio continente. La «Food and drugs admnistration», l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha emanato delle linee guida specifiche per il mais contaminato e non destinato all'alimentazione degli animali da latte. Nel caso di bovini e suini da riproduzione e avicoli adulti incluse le ovaiole, il limite ammesso è di 100 ppb, per suini all'ingrasso 200 ppb e infine per i bovini all'ingrasso 300 ppb. Appare perciò evidente come i limiti europei siano molto più ristrettivi.  «Se a novembre ci ritroveremo ancora con i depositi pieni di mais», ha sottolineato Giorgio Bissoli, delegato ceretano all'Agricoltura, «le aziende non potranno pagare i fornitori, gli affitti dei campi e la seconda rata dell'Imu. Il sistema rischia quindi di bloccarsi con ripercussioni a livello anche sociale». Cauto il sindaco Paolo Marconcini: «Sarà mia premura documentarmi sull'argomento prima di muovermi coinvolgendo i colleghi degli altri centri della Bassa e i referenti provinciali e regionali». Sulla questione è intervenuto anche l'assessore regionale all'Agricoltura Franco Manzato assicurando che «in Veneto non ci sarà alcun utilizzo alimentare per mais e granaglie con contaminazioni da micotossine superiori ai limiti di legge». «Il primo obiettivo», rimarca Manzato, «restano la salute dei cittadini e la garanzia dei cibi. Ad agosto abbiamo attivato un gruppo di lavoro tecnico ed avviato un monitoraggio con controlli analitici eseguiti tramite i servizi sanitari territoriali con il coordinamento della nostra Unità di progetto veterinaria».  In Regione, inoltre, «si sta lavorando per un utilizzo della granaglia con scopi diversi dai processi della catena alimentare, ad esempio quello energetico». «Puntiamo», conclude Manzato, «ad evitare anomalie di mercato conseguenti a questa situazione e ad eliminare speculazioni sui prezzi che penalizzino i produttori».  
Francesco Scuderi
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