giovedì 28 marzo 2013

BRUXELLES AUTORIZZA GLI OLI D’OLIVA “DEODORATI”


olio d'oliva
PORTE APERTE A MISCELE DI OLI DI DUBBIA QUALITA’
Questo il rischio che comporta l’entrata in vigore, dal 1° aprile 2011, del nuovo regolamento comunitario che autorizza la vendita di olio con dicitura ‘extra-vergine’ con un quantitativo massimo di alchil esteri pari a 150 mg/kg, composti chimici che si formano nei prodotti di scarsa qualità.”La presenza di oli deodorati deve almeno essere indicata in etichetta “.Il nuovo regolamento comunitario in vigore dal 1° aprile autorizza la vendita di olio con dicitura ‘extra-vergine’ con un quantitativo massimo di alchil esteri pari a 150 mg/kg, composti chimici che si formano nei prodotti di scarsa qualità. Questa norma rischia di spalancare le porte dei mercati europei a miscele di olii di dubbia qualità, poiché un olio ottenuto da olive sane spremute subito dopo la raccolta contiene al massimo 10-15 mg/kg di alchil esteri, che possono arrivare in via eccezionale a 30.

IL LIMITE DI 150 mg/kg
fissato dal regolamento europeo, non è rappresentativo di un olio extra-vergine ottenuto da olive sane e non scoraggia i produttori dal miscelare olio extra-vergine con un prodotto di qualità inferiore come il deodorato con elevati valori di alchil esteri.“Gli oli che hanno bisogno di essere deodorati sono quelli di bassa qualità. È inaccettabile che un procedimento chimico finora vietato in oli extra-vergine venga sostanzialmente permesso per consentire a chi non produce qualità di arrivare sul mercato con un prodotto adulterato che il consumatore non sarà in grado di riconoscere dall’etichetta”, dichiara Carlo Petrini, presidente Slow Food.“È una legge che va esattamente in direzione contraria a quella che sembrerebbe volere imboccare la nuova Pac del Commissario Ue all’agricoltura Dacian Cioloş. Non si protegge la qualità danneggiando in modo così grave una categoria, i produttori onesti di olio extra-vergine di oliva, che in questo momento è già in grave difficoltà. La presenza di oli deodorati deve almeno essere indicata in etichetta a protezione del diritto del consumatore all’informazione e alla salute”, conclude Petrini.

Fonte
Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org

mercoledì 20 marzo 2013

Altroconsumo pubblica la lista dei 40 prodotti “senza zucchero” che invece lo contengono. Richiesta censura all’Antitrust



altroconsumo-zucchero-40Il 22 gennaio 2013 Altroconsumo
 ha inviato all’Antitrust un esposto con  l’elenco di 40 prodotti alimentari (marmellate, succhi di frutta, biscotti, omogeneizzati…). Secondo l’associazione di consumatori, e come riportanto anche in un nostro articolo, questi prodotti ingannano gli acquirenti, perchè le etichette e/o le pubblicità lasciano intendere di non contenere zucchero (saccarosio), nascondendo la presenza  di altri sostanze zuccherate come il succo d’uva.

Riportiamo anche noi la lista dei prodottisotto accusa che comprende diversi marchi famosi come:  Almaverde, Balocco, Coop, Colussi, Carrefour, Galbusera, Hero, Hipp, Misura, Mulino Bianco, Paluani, Rigoni, Santal, Valsoia, Zuegg.
Per correttezza va detto che l’Antitrust qualche mese fa ha censurato due aziende per motivi analoghi pretendendo il pagamento di una multa e la modifica delle etichette.

La lista dei 40 prodotti 

Almaverde Bio, Frutta del bosco Frullato di frutta biologica
Auchan, Biscotti con fiocchi di avena Senza zuccheri
Balocco, Vita Mia
Campiello, Senza zucchero Aggiunto
Carrefour baby Omogeneizzato alla mela
Carrefour, Biscotti secchi Senza zuccheri aggiunti
Carrefour, Croissant con farcitura all’albicocca Senza zuccheri aggiunti
Cerealvit, Bio Corn Flakes
Colussi, Gusto Leggero Senza Zuccheri Aggiunti
Coop, Benesì Fiocchi croccanti con frutta
Crescendo Coop Omogeneizzato Prugna e Mela
DimmidiSì, il Frullato fresco Frutti di bosco
Essezeta, Brioché farcita alla Pesca e Albicocca
Essezeta, Energelli
Galbusera, BuoniCosì
Giusto Giuliani, preparazione di frutta
Hero, Diet Ananas Senza zucchero aggiunto
Hero, Diet Muesly Senza zucchero aggiunto
Hipp Biologico Mela e yogurt
Hipp Biologico Mela golden
Hipp Biologico Pera e yogurt
Hipp Biologico Pesca
Hipp Biologico Prugna e mela
La Finestra sul Cielo, Free Choko
La Finestra sul Cielo, Riccioli Riso & Mais Bio
La Finestra, sul Cielo Biscotti di Kamut e Riso
Materne Fruit and Go Mela e Fragola
Misura, Biscotti allo yogurt Senza zuccheri aggiunti
Misura, Cornetti alla ciliegia Senza zuccheri aggiunti
Mulino Bianco, Storie di frutta con Lampone, Uva e Mirtillo
OnlYou, Cuore di frutta Mela e Lampone
Paluani, I croissant FarciTu
Probios, Composta di albicocche
Rigoni di Asiago, Fiordifrutta Mirtilli neri di bosco Senza zuccheri aggiunti;
Rigoni di Asiago, Fruttosa Frutta al cucchiaio;
Santal 100% frutta Arancia rossa
Valfrutta, Pura frutta frullata Fragola e mirtillo
Valsoia, I frollini alla soia Cereali
Vis, Più frutta Diet Albicocca
Zuegg, Il frullato di frutta Senza zuccheri aggiunti Frutti di bosco

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Kinder Ferrero venduto a 94 euro al kg batte in volata tutti i listini delle uova di Pasqua. Un prezzo ingiustificato per un uovo che non è tutto di cioccolato


uova 005



















94 euro al kg non è il prezzo dell’aragosta, ma quello dell’ovetto Kinder GranSorpresa Ferrero da 41g, venduto in tutti i supermercati più o meno alla stessa cifra. Una cosa è certa l’ovetto di Pasqua preferito dai bambini rientra nella classifica dei prodotti alimentari più cari, preceduto da zafferano, tartufo, caviale. Molte mamme e papà quando comprano non guardano attentamente il cartellino che indica 3,85 euro e nemmeno il peso che corrisponde al doppio rispetto all’ovetto classico venduto nei negozi tutto l’anno, ma il prezzo è davvero esagerato e ingiustificato.

Certo le sorprese Ferrero sono tra le più ambite ma è altrettanto vero che l’ovetto Kinder non è tutto di cioccolato come gli altri. La scritta sull’etichetta “Uovo dolce con sorpresa ricoperto di puro cioccolato”,  indica un prodotto “ibrido”, ottenuto abbinando un guscio bianco preparato con grassi vegetali non eccellenti, diversi dal burro di cacao, a un secondo guscio di cioccolato al latte.

Albania: allarme latte; test finali saranno fatti in Italia

I test conclusivi sul latte contaminato trovato sul mercato albanese saranno eseguiti presso i laboratori dell'Istituto superiore di Sanita' di Roma: lo ha annunciato oggi il direttore generale del ministero albanese della Sanita' Pellumb Pipero. Le analisi eseguite in Albania avevano rilevato, in due marchi di latte, un'elevata presenza di aflatossina, sostanza cancerogena prodotta da specie fungine che si trovano nel mangime, ma i risultati, secondo le autorita', dovrebbero essere certificati da un istituto accreditato a livello europeo.

I prodotti contenenti latte risultati contaminati sono gia' stati ritirati dal mercato, ha fatto sapere oggi l'Autorita' albanese per la sicurezza alimentare, spiegando che nel frattempo sara' sottoposta ad analisi tutta la produzione locale. Da parte sua il ministero della Sanita' avviera' un'indagine epidemiologica ''per valutare l'espansione del fenomeno e le probabile conseguenze sulla salute dei cittadini''.(ANSA).

Francia: Carne pecora 'proibita' non in commercio in Italia

(ANSA) - ROMA, 19 MAR - Non sono in commercio in Italia le carni di pecora non conformi alle norme europee, rinvenute in Francia nella stessa azienda coinvolta nello scandalo della carne di cavallo nelle lasagne. Lo annuncia in una nota il ministero della Salute.

''In riferimento alla notizie provenienti dalla Francia - si legge nella nota - sulla carne di pecora macellata in Gran Bretagna con la tecnica della separazione meccanica, che non e' autorizzata per queste tipologie di animali, il Ministero della Salute precisa che le indagini sulla tracciabilita' escludono la commercializzazione del prodotto sul mercato italiano. Il Ministero della Salute era stato informato dal sistema di allerta della Commissione europea''.(ANSA).

martedì 19 marzo 2013

Influenza:colpiti i piu' piccoli con alimentazione sbagliata Solo 60%bambini mangia verdura,prima 4 anni pochi micronutrienti

(ANSA) – MILANO, 19 MAR- E' stata la fascia d'eta' dei bambini piu' piccoli quella piu' colpita dall'influenza (oltre 22 casi su mille), anche perche', al contrario dei fratelli maggiori e degli adulti ''mangiano poca verdura e introducono basse quantita' di micronutrienti, che potrebbero servire a migliorare l'azione antinfiammatoria e ad aumentare le difese dell'organismo''.

Lo affermano gli esperti dell'Osservatorio Nutrizionale Grana Padano a conclusione di uno studio che ha analizzato le abitudini alimentari di circa 6.000 individui valutando tre fasce d'eta': 1-4 anni, 5-14 e 15-64 anni.

In base ai risultati, il 70% degli intervistati consuma agrumi nel periodo invernale, ma tra 1 e 4 anni la quantita' giornaliera introdotta e' significativamente piu' bassa rispetto alle altre fasce d'eta'. Stessa osservazione per quasi tutta la frutta, consumata mediamente dall' 80% della popolazione campione.

Quanto alla verdura i dati sono ancora piu' eclatanti: solo il 60% dei bambini la consuma e la quantita' giornaliera aumenta con l'aumentare dell'eta', passando quasi al doppio fra 15 e 64 anni. Ne sono esempio cavolfiore, cavoli, broccoli, verza e pomodori, che passano da un consumo medio di 30-35g/die (1-4 anni) a 65-70g/die (15-64 anni).

E il dato e' confermato per le vitamine: la vitamina C passa da 84 mg al giorno nei bambini da 1 a 4 anni, a 140 mg nella fascia 15-64; l'acido folico passa da 200 a 400 microgrammi al giorno. La quantita' assunta giornalmente di molte sostanze ad azione antiinfiammatoria come licopene, betacarotene, polifenoli e flavonoidi, raddoppia all'aumentare dell'eta'.

''Forse non si puo' dire con certezza assoluta che i bambini si ammalano di piu' perche' introducono meno nutrienti protettivi – dicono gli esperti - ma certamente le mamme vanno sensibilizzate ad alimentarli piu' correttamente''.

E secondo Michela Barichella responsabile della Struttura di Dietetica e Nutrizione Clinica ICP di Milano, ''in presenza di sintomi influenzali, e' fondamentale, specie se coinvolgono il tratto gastroenterico, seguire una dieta specifica: introdurre vitamine con frutta e verdura, utilizzare latte fermentato e yogurt contenente fermenti lattici vivi e soddisfare tutti gli apporti calorici con la giusta combinazione di macro e micronutrienti''.(ANSA).

domenica 17 marzo 2013

Coloranti e additivi di dimensione nanometrica sono già presenti nel cibo, anche se nessuno certifica la sicurezza



dolceLe nanoparticelle 
cominciano ad essere  molto diffuse nel settore alimentare soprattutto come additivi, anche se  raramente  vengono dichiarate in etichetta. Una cosa è però sicura, nessuno sa con certezza se  queste nanoparticelle possano o meno costituire un pericolo per la salute. La maggior parte delle aziende le utilizza perché le dimensioni nano (un miliardesimo di metro), conferiscono a coloranti, addensanti e additivi caratteristiche positive dal punto di vista organolettico, ma quasi nessuna azienda lo ammette o lo scrive sulla confezione, visto che per ora  non esiste un obbligo. È quindi molto difficile conoscere la situazione reale.

Per avere qualche elemento utile, l’associazione no profit As You Sow, che lavora per favorire un comportamento etico da parte delle grandi aziende, ha chiesto a 2.500 società americane ( molte delle quali multinazionali  come Pepsi Cola, Whole Foods, Taco Bell e Pizza Hut…), di fornire delucidazioni in merito. La prima  sgradita sorpresa è che  hanno risposto soltanto 26 aziende. Di queste, solo 14 hanno affermato di non utilizzare nanoparticelle e soltanto due di avere specifiche regole aziendali sul loro impiego. Quasi tutte hanno detto di essere interessate alle nanoparticelle  perché  possono rendere i colori più brillanti, far diventare le creme più soffici e migliorare la conservabilità di alcuni cibi, senza però rivelare i loro progetti futuri.

caramelleTanta reticenza è probabilmente dovuta al fatto che i nanomateriali negli alimenti non godono di buona fama. Numerosi studi pongono l’accento sui pericolo di un possibile accumulo in tessuti come quelli dell’apparato respiratorio e, soprattutto,  sottolineano come il comportamento in ambiente biologico sia diverso da quello degli stessi prodotti che hanno dimensioni più grandi.

Per questi motivi, la stragrande maggioranza di questi studi invita alla prudenza e all’applicazione del principio di precauzione. Principio che al momento, vista la crescita esponenziale dei nanomateriali, non sembra essere il filo conduttore di normative ancora molto lacunose e disomogenee. Secondo alcune rilevazioni, nel mondo ci sarebbero già più di 800 prodotti commercializzati in versione nano da 400 aziende in 21 paesi, in genere le sostanze di dimensioni nano sono utilizzate  non solo nei cibi ma anche nel packaging, nei cosmetici e in molti altri prodotti.

zuppaDal  questa indagine emerge la necessità di regolamentare al più presto la materia. L’Europa, ancora una volta, sembra essere più avanti, perché il Parlamento già definito i nanomateriali dal punto di vista giuridico e ha affermato che “Ogni ingrediente in forma di un nanomateriale deve essere chiaramente indicato nella lista degli ingredienti. Il nome di questo ingrediente è seguita dalla parola “nano” tra parentesi”. Per ora non si tratta ancora di un obbligo esecutivo, ma la norma ad hoc è attesa per i prossimi mesi. L’EFSA, dal canto suo, ha emanato le linee guida per verificare la presenza di nanoparticelle (vedi articolo) e lavora da tempo su questo argomento.

Nello scorso mese di aprile anche la FDA ha preso posizione, dichiarando di non avere abbastanza elementi per esprimersi in maniera netta sulla sicurezza, mentre la Environmental Protection Agency sta conducendo molte analisi.
In attesa che gli studi possa dire una parola chiara su eventuali rischi, sarebbe bene che i consumatori potessero almeno sapere se nel prodotto che stanno acquistando ci sono questi materiali in versione nano, per scegliere liberamente se acquistarli o meno.

Agnese Codignola

La verità sulla carne di cavallo: una brutta storia collegata al commercio illegale di animali sportivi non macellabili


lasagnaLa vicenda delle lasagne condite con carne di cavallo anziché carne bovina non è una semplice frode commerciale. Gli arresti in Inghilterra e i provvedimenti adottati in Francia contro alcune aziende fanno pensare a una storia molto seria che le autorità fanno fatica ad ammettere. Riscontri positivi sono stati rilevati in Germania, Irlanda, Norvegia e Svizzera. Il fatto alimentare prova a raccontarvi cosa si nasconde dietro le lasagne di cavallo inglesi della Findus.

Il primo elemento che insospettisce in questa storia è la decisione della Food Standard Agency  di condurre un esame approfondito sulle carcasse di cavalli macellati, alla ricerca di sostanze estranee alla catena alimentare.  Secondo quanto riferisce il Guardian le analisi hanno evidenziato otto casi di positività al Fenilbutazone, un medicinale veterinario con funzione antidolorifica e antinfiammatoria somministrato spesso ai cavalli sportivi.

cavalloL’altra notizia è la decisione presa mercoledì 13 febbraio dalla Commissione europea, di invitare tutti gli Stati membri ad eseguire test del DNA nei prodotti alimentari che contengono carne bovina come ingrediente per verificare l’assenza di carne di cavallo. Le analisi dovranno essere condotte in marzo e i risultati saranno resi noti in aprile.

Il terzo fatto è un comunicato dell’Efsa datato 11 febbraio che evidenzia il problema della falsa etichettatura dei  prodotti contenenti carne di cavallo, e l’assenza di tracciabilità di questa carne, anche se non rileva “sino ad ora”problemi di sicurezza alimentare.

Questi elementi lasciano intuire l’ipotesi che la carne di cavallo nelle lasagne provenga da cavalli non destinati alla produzione alimentare. Si tratta  di animali  da corsa, trotto o utilizzati come animali da compagnia appartenenti a privati cittadini che arrivati a fine carriera vengono macellati in modo fraudolento per essere  inseriti sempre in modo fraudolento nel circuito della carne di cavallo alimentare.

cavalloPrima di andare avanti bisogna dire che per i cavalli esiste un doppio circuito. Il primo comprende animali da reddito (classificati dagli addetti ai lavori come “dpa” ovvero destinati alla produzione alimentare), allevati per essere macellati sottoposti a regole precise (una dieta composta solo da alcuni mangimi, cure solo con alcuni farmaci, rispetto dei tempi di sospensione prima della macellazione per metabolizzare eventuali medicinali, una scheda di filiera per registrano tutti i trattamenti veterinari e i vari spostamenti effettuati dalla nascita al macello  proprio come avviene per i bovini). In Italia ogni anno si macellano 6.000 cavalli provenienti da questi  allevamenti destinati a trasformarsi in bistecche ( si tratta di una cifra pari al 10 % circa di tutti i capi  macellati ).

Esistono poi 800mila cavalli sportivi che possono essere allevati in due modi. Il primo gruppo comprende quelli che rispettano le regole alimentari, classificati come destinati alla produzione alimentare (dpa). Sono il 40% circa e a fine carriera finiscono nei macelli per essere trasformati in  bistecche. In Italia se ne  macellano 35.000 capi all’anno, la restante quota proviene da altri Paesi europei. I cavalli sportivi non destinati alla produzione alimentare e classificati come non dpa, sono la maggioranza (oltre il 60%) e vengono trattati spesso con antinfiammatori e antibiotici necessari per curare le patologie tipiche da sforzo.

cavalloLa legge europea è severa e il cavallo sportivo non-DPA quando va in pensione a fine carriera (all’età di 8-9 anni) oltre a non poter essere macellato non può essere abbattuto. E’ vietato dal codice penale e dal 2006 le pene sono state inasprite. Per legge la carne non può essere utilizzata nemmeno come mangime per cani o gatti. L’unica soluzione per il proprietario è mantenere l’animale fino alla morte (almeno 8-10 anni) con costi molto elevati sia per il vitto e l’alloggio.  Il cavalli “in pensione” sono tanti, quelli riciclati in maneggi e altre strutture sportive sono pochissimi.

In questa situazione i proprietari degli animali hanno due possibilità:  mantenere un cavallo che non fa niente fino alla morte e sobbarcarsi poi anche le spese di  “incenerimento“ quando muore, oppure trovare soluzioni più facili anche se illegali. La strada più conveniente  è cedere l’animale ad un macello clandestino, oppure riuscire a trasformare il cavallo non dpa in animale da reddito con documenti falsi, e avviarlo nei macelli per venderlo e inserire carne probabilmente contaminata da farmaci vietati nel circuito alimentare. In Europa i controlli non sono così ricorrenti, le pene non sono così severe e il guadagno è interessante. Diventa quindi probabile la commercializzazione di questa carne  in modo fraudolento, mischiandola a carne di bovini.

lasagnaLa decisione di Bruxelles di invitare gli Stati a ricercare nella carne di cavallo tracce di fenilbutazone  è legato proprio al forte sospetto di inserimento di carne di cavalli non dpa nel circuito alimentare. L’Italia dovrà effettuare 500 test di questo tipo perché noi consumiamo  e macelliamo molta carne di cavallo fresca, e 200 per la ricerca del DNA di cavallo  in preparati a base di  carne. Al Ministero della salute non sono per niente contenti, perché le analisi costano 400 euro l’una e l’UE ne rimborsa il 75%. La posizione è chiara, il nostro servizio veterinario funziona e le carni italiane di cavallo provengono da allevamenti regolari o da circuito dpa, perché dobbiamo sobbarcarsi le spese degli animali che arrivano dalla Francia, dalla Polonia e da altri Paesi per essere macellati da noi? Spetta a questi Paesi garantire che gli animali siano sani e provengono solo dal circuito dei cavalli sportivi dpa. In veterinari che operano in altri Paesi sono pochi rispetto a quelli italiani e i controlli nella filiera del cavallo non sono così diffusi.


macinato«Il problema – sostiene Daria Scarciglia, avvocato esperto di legislazione sanitaria – non è di facile soluzioni. L’Unione Europea dovrebbe disciplinare la sorte dei cavalli non-dpa a fine carriera sportiva in tutti gli Stati membri, in modo da regolamentarne l’impiego in altre attività laddove possibile, oppure l’abbattimento. C’è un altro elemento da regolamentare ed è l’estensione delle regole di tracciabilità dei farmaci utilizzati per i cavalli dpa anche agli animali sportivi non-dpa, per evitare facile confusione. Le norme europee sull’identificazione dei cavalli prevedono solo il censimento degli animali, non la registrazione in una banca dati di tutte le informazioni relative ai trattamenti medici o agli spostamenti.  Si tratta di una carenza che rende difficili e lacunosi anche i  controlli. In mancanza di norme chiare ed univoche, i singoli Stati hanno pochi strumenti per controllare il mercato. Siamo di fronte a uno scandalo che ha fatto emergere problematiche legate sia alla tutela della salute umana che alla tutela del benessere animale».

 Roberto La Pira

Se cibo e' morbido si mangia di piu' e sale numero calorie Ricerca, velocita' masticazione influisce su quanto si mangia


MILANO - La consistenza del cibo puo' condizionare quante calorie introduciamo nella nostra alimentazione, mentre la velocita' con cui lo mastichiamo influisce su quanto cibo effettivamente mangiamo. A dirlo sono i ricercatori del Centro di Ricerca Nestle' (NRC), che hanno condotto una serie di studi in collaborazione con l'Universita' di Wageningen, nei Paesi Bassi.

''Questi studi - spiega Ciaran Forde, l'esperto che ha condotto le ricerche - ci danno la possibilita' di conoscere l'impatto che gli alimenti, nelle diverse forme, hanno sul comportamento alimentare, sul senso di sazieta' e sull'assunzione di cibo. Il nostro obiettivo finale e' aiutare i consumatori a raggiungere la sazieta' ingerendo meno calorie''.

Lo studio dimostra che i cibi piu' morbidi, come le puree di verdure, le lasagne e i pomodori pelati, che vengono ingeriti in grandi bocconi e masticati poco, ''hanno un tasso assunzione al minuto considerevolmente maggiore dei cibi solidi. In quest'ottica risulta quindi meno appagante per l'appetito una porzione di pure' che viene masticata solo 27 volte contro la stessa quantita' di patate in forma solida, che necessita di 488 atti masticatori''.

Inoltre, secondo i ricercatori i cibi ingeriti in piccoli morsi e masticati per lungo tempo aumentano il senso di sazieta', riducendo quindi le quantita' di cibo assunte: ''i volontari che hanno mangiato verdure e bistecca servite intere hanno consumato il 10% in meno rispetto a quelli che hanno mangiato il passato di verdure e la bistecca in pezzi.

Quest'ultimo pasto e' stato consumato il 20% piu' velocemente del primo per un equivalente di 10g di cibo ingerito in piu' al minuto''. In pratica, conclude la ricerca, la forma con cui il cibo e' presentato puo' essere un'arma in piu' per ridurre le calorie assunte, e per 'costringere' le persone a mangiare con piu' calma, favorendo allo stesso tempo anche una migliore digestione.
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sabato 16 marzo 2013

Bloccate torte Ikea al cioccolato, Cina ferma 247 prodotti Fra alimentari e cosmetici, 'problemi qualitativi'



Ikea ha  annunciato di avere bloccato la vendita delle torte al cioccolato nelle caffetterie di 23 Paesi dopo che le autorità sanitarie cinesi vi hanno trovato tracce di batteri che solitamente indicano una contaminazione fecale. Le torte sono state bloccate anche in tutti i ristoranti del gruppo in Italia.

I risultati delle prime analisi sui campioni, secondo quanto si apprende, sono attesi nelle prossime 48 ore.

Le autorita' sanitarie cinesi, oltre alle torte al cioccolato del gruppo Ikea, hanno bloccato anche lotti di formaggi della Kraft, barrette al cioccolato della Nestle' e creme solari della Shiseido poiche' ''sotto gli standard'' qualitativi. I prodotti, rende noto il quotidiano online ShanghaiDaily.com, sono stati distrutti o rinviati all'origine a seguito degli ultimi controlli effettuati. I prodotti fanno parte di un 'gruppo' di 247 articoli alimentari e cosmetici importati e sui quali, lo scorso gennaio, le autorita' cinesi hanno rilevato problemi di tipo qualitativo. Gli articoli bloccati includono bevande, cioccolata, biscotti, formule per bambini, dolci, snacks, passata di pomodoro e brandy.
http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/salute/2013/03/05/Bloccate-torte-Ikea-cioccolato-Cina-ferma-247-prodotti_8351865.html

Caffe' e te' verde, ottime bevande anti-ictus Studio su 83 mila individui, rischio ridotto del 20-30%


caffe' e te' verde efficaci contro ictuscaffe' e te' verde efficaci contro ictus
ROMA - Bere caffe' regolarmente, o in alternativa te' verde, e' un'ottima azione anti-ictus.

Lo rivela un maxi-studio unico nel suo genere svolto in Giappone su oltre 83 mila individui e pubblicato sulla rivista Stroke: Journal of the American Heart Association.

E' emerso che chi beve regolarmente una delle due bevande ha un rischio-ictus ridotto del 20-30 per cento.

Non e' escluso, ipotizza l'autore del lavoro Yoshihiro Kokubo del Centro Nazionale Nipponico Cardiovascolare e Cerebrale, che bere entrambe le bevande amplifichi ancora di piu' l'effetto anti-ictus di ciascuna dando una protezione rinforzata.

Gli esperti hanno seguito i soggetti per 13 anni dividendoli in gruppi in base al loro consumo di te' verde o di caffe'. Pur considerando tutti i fattori inficianti l'attendibilita' del risultato (stili di vita dei volontari, eta' sesso etc), e' emerso che una tazza di caffe' al di' riduce il rischio ictus di circa il 20% e di ictus emorragico di oltre il 30%; lo stesso fattore di riduzione si ha consumando tre tazze di te' verde al di'.

E' possibile che l'azione anti-ictus sia esercitata rispettivamente dall'acido clorogenico (antiossidante del caffe') e dalle catechine (antiossidanti con azione antinfiammatoria del te').
 
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In olio d'oliva il segreto per sentirsi sazi Sono le molecole che gli danno l'aroma,stimolano senso sazieta'


 Nell'olio d'oliva il segreto per sentirsi sazi e mangiare meno: infatti un gruppo di ricercatori europei ha scoperto che l'olio d'oliva stimola il senso di sazieta' attraverso molecole aromatiche in esso contenute come l''esenale'. Tali sostanze funzionano rallentando l'assorbimento dello zucchero da parte del fegato e quindi ritardano l'abbassamento della glicemia.

La ricerca, condotta da esperti tedeschi della Technische Universität di Monaco di Baviera (TUM) e dell'Universita' di Vienna con il coordinamento di Peter Schieberle e Veronika Somoza, avvalora anche i tanti dubbi sui cosiddetti cibi 'light' o 'low fat': infatti mostra che questi cibi non stimolano il senso di sazieta' e potrebbero altresi' portare a mangiare maggiori quantita' di prodotto.

La ricerca si e' svolta in varie tappe. All'inizio i ricercatori hanno chiesto a un gruppo di volontari di mangiare yogurt magro ogni giorno in aggiunta alla propria dieta normale e chiesto loro di aggiungere al prodotto uno tra diversi tipi di oli, come l'olio di semi o l'olio d'oliva. Confrontando le reazioni dei volontari e' emerso che coloro che mangiavano lo yogurt con olio d'oliva erano piu' sazi e avevano nel sangue alti livelli di serotonina, sostanza legata appunto al senso di sazieta'.

Poi gli esperti hanno scoperto che il segreto dell'olio d'oliva e' nascosto nelle sostanze aromatiche che lo caratterizzano, come l'esenale. Infatti aggiungendo allo yogurt dette sostanze, di nuovo i volontari si dicono piu' sazi. Per di piu' coloro che mangiavano lo yogurt senza aroma ingerivano mediamente ogni giorno 176 chilocalorie in piu', mentre coloro che mangiavano quello 'aromatizzato' non modificavano il loro introito calorico.

Infine gli esperti hanno cercato di capire come le molecole aromatiche inducono sazieta': le sostanze aromatiche dell'olio, come l'esenale, favoriscono il senso di sazieta' perche' rallentano l'assorbimento degli zuccheri nel sangue e quindi ritardano l'abbassarsi della glicemia.

Questa scoperta potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuovi prodotti low-fat ma piu' sazianti. (ANSA).
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lunedì 11 marzo 2013

Il cibo modifica il DNA


I nostri cromosomi sono come una sorta di lungo alfabeto composto da sole 4 lettere: A, G, T, C. Tutto il nostro patrimonio genetico è descritto e funziona utilizzando queste 4 lettere. Basta cambiare la sequenza delle lettere e cambia il modo in cui siamo fatti, la nostra stessa natura.
Per lungo tempo si era creduto che l’unico meccanismo che portasse a modificazioni genetiche fosse il sostituire una lettera con un’altra: una C al posto di una A ed ecco che la nostra fisiologia si modifica.
Negli ultimi anni una nuova branca della genetica, l’Epigenetica, ci ha insegnato che la maggior parte delle volte in cui i geni sono implicati in qualche modifica del nostro organismo questo non avviene attraverso la sostituzione di una lettera.
Quello che in realtà accade e che i nostri geni vengono marchiati, etichettati da delle molecole che funzionano come degli interruttori, dei controllori, che attivano e/o disattivano i vari geni.
Quando hanno scoperto queste “etichette” gli scienziati si sono chiesti cosa significassero. E’ una cosa che avviene in tutti gli esseri umani nello stesso modo e quindi è un processo fisiologico di invecchiamento? Oppure ogni essere umano ha delle etichette diverse, il che suggerirebbe che gli stili di vita e l’alimentazione modificano i nostri geni in maniera diversa in ognuno di noi?
Studiando dei gemelli identici gli scienziati hanno trovato la risposta. Sebbene i gemelli partissero alla nascita con identico materiale genetico, col passare dei decenni le etichettature dei loro cromosomi sono diventate molto diverse. Durante la loro vita, ciò che i gemelli mangiavano, bevevano, pensavano, respiravano era diverso e quindi anche i loro geni venivano etichettati (attivati/disattivati) in maniera diversa. Quindi persone in teoria identiche si ritrovavano col tempo ad avere dei geni che si comportavano in maniera diversa: questo perché le etichette, gli interruttori, facevano sì che alcuni geni potessero essere messi a tacere posizionando l’interruttore sull’”off” e altri geni, magari, venissero attivati posizionando l’interruttore sull’”on”.
In pratica i geni, imparano a comportarsi bene o male, a seconda dei segnali che gli mandiamo con il nostro stile di vita e con l’alimentazione. Ovviamente quello che le etichette fanno non è solo accendere o spegnere i geni, ma ai fini della nostra discussione è sufficiente capire questo concetto.
I geni non si comportano in maniera immutabile nei secoli, ma imparano dai segnali che gli mandiamo e si adattano a questi segnali in maniera abbastanza veloce.
Quello che l’epigenetica ci insegna è che, ad esempio, se non mangiamo il calcio, non solo le nostre ossa si indeboliscono, ma anche i nostri geni si modificano. Il gene che controlla la formazione dell’osso va in letargo se non ingeriamo il calcio nella dieta. Letargo che può essere interrotto se noi riprendiamo ad alimentarci correttamente. Ma se questo letargo si prolunga anche nell’età della riproduzione, nell’età in cui facciamo dei figli, possiamo trasmettere ai nostri figli questa caratteristica e magari i nostri figli saranno più soggetti all’osteoporosi perché gli abbiamo trasmesso un gene magari un po’ svogliatello che non lavora alacremente come quello di una persona sana.
Queste “modifiche” genetiche non sono permanenti. Si possono trasmettere sì per qualche generazione, ma se modifichiamo in meglio il nostro modo di alimentarci e di vivere possiamo rieducare i geni a riprendere il loro comportamento originario. Non siamo schiavi degli errori dei nostri genitori e dei nostri nonni, anche se certo sarebbe meglio ereditare un patrimonio genetico privo di geni dormienti e/o malfunzionanti.
Ecco quindi i due lati della medaglia: possiamo sì modificare i nostri geni in meglio se i nostri genitori o nonni ci hanno trasmesso dei geni che non funzionano come dovrebbero, ma abbiamo anche la responsabilità di non gravare sulla salute dei nostri figli e dei nostri nipoti seguendo una alimentazione e uno stile di vita non proprio salutari.
Notate bene che questi effetti negativi non solo si possono trasmettere ma possono anche amplificarsi col passare delle generazioni. Uno studio ha dimostrato che i figli di madre fumatrice hanno una possibilità e mezzo in più di sviluppare asma di un figlio di una non fumatrice. Ma se a fumare era la nonna questa possibilità aumentava a quasi due volte, anche se la mamma non fumava! E se a fumare erano entrambe le donne, le possibilità di sviluppare l’asma per il bambino saliva a 2,6 volte in più. I bambini di queste fumatrici hanno dei geni che rendono i polmoni iperreattivi a qualsiasi particella estranea si trovi nell’area. I geni hanno imparato quando si trovavano nel corpo della mamma e della nonna che l’aria spesso era nociva e bisognava reagire. Hanno imparato la lezione, in buona fede, potremmo dire. Una volta trasmessi al bimbo continuano ad agire come sono stati programmati dalle nonne e dalle madri fumatrici: intolleranti a qualsiasi anomalia presente nell’aria, i polmoni di questi bambini reagiscono al più piccolo inquinante scatenando gli attacchi d’asma.
Un esempio clamoroso e indimenticabile, credo, lo troviamo in uno studio fatto dal dottor Fred Hale alla fine degli anni ‘30. Egli riuscì a privare il cibo di una scrofa di vitamina A prima che rimanesse gravida. La scrofa partorì dei maialini senza occhi. Alla gravidanza successiva la scrofa si nutrì normalmente e i maialini nacquero perfettamente normali; questo suggerisce che la modificazione genetica non era permanente, ma reversibile. La Vitamina A deriva dai retinoidi che si trovano nelle piante che come sappiamo devono la loro vita alla luce. L’assenza di Vitamina A è stata interpretata dal DNA della scrofa come assenza di luce. Ma se manca la luce a che diavolo servono gli occhi? A nulla: risparmiamo quindi ed evitiamo di farli, ha ragionato il DNA.
Ricordiamoci però che queste modifiche, queste etichette che segnano e controllano il nostro DNA non sono permanenti. Sono solo un modo in cui i nostri geni imparano dall’ambiente che li circonda. Prima che la modifica diventi definitiva devono passare parecchie generazioni. E’ come se il nostro DNA facesse delle prove. Per qualche generazione la modifica è reversibile, dato che potrebbero cambiare le cose da una generazione all’altra. Solo se gli stimoli che il gene riceve sono persistenti per molte generazioni diventa difficile se non impossibile tornare alla situazione originaria. È come quando un programmatore di software crea un nuovo prodotto. Lo chiama Beta perché è pronto a rimodificarlo a seconda delle esigenze; ma se il software dimostra di funzionare il programmatore lo integra magari nel sistema operativo e lo rende in tal modo immodificabile e parte della macchina stessa.
I geni sono come delle fabbriche che producono delle proteine. L’operaio che le comanda lo possiamo definire l’etichettatore, colui che dà il via o meno alle operazioni. Se ad esempio un gene viene messo a tacere ma le cose lì intorno continuano a funzionare come si deve, la fabbrica continua a rimanere spenta anche nelle generazioni successive in attesa di conferme che la chiusura sia definitiva. Magari un domani verrà riconvertita a fare altro se non serve più, e allora la modifica genetica diventerà definitiva.
Quindi le modifiche genetiche non sono in genere casuali, ma vengono sottoposte a controllo da parte del nostro organismo.
Ma da dove vengono questi “controllori”, queste molecole che interagiscono con i nostri geni e li educano e controllano? Dal cibo. Vitamine, minerali, nutrienti che prendiamo dal cibo diventano i controllori dei nostri geni e delle loro azioni. Capite ora l’enorme importanza del cibo? Quello che mangiamo non solo modifica giorno per giorno i nostri geni, ma anche quelli stessi geni che passeremo ai figli e ai nipoti. Come genitori abbiamo la grande responsabilità di salvaguardare il nostro patrimonio genetico perché le conseguenze di quello che facciamo a noi graveranno anche sui nostri discendenti.

domenica 10 marzo 2013

“Fabio Tira”: Maestro di cucina


 Fabio Tira

















Unisce abilità e passione, utilizza gli ingredienti come note su uno spartito con cui crea un’armonia musicale. Stiamo parlando di un artista, non di un maestro di musica, ma di un maestro di cucina, uno degli chef più conosciuti e affermati in Italia. Maestro di cucina, Stella della ristorazione, Food & Beverage Manager, Chaine des Rotisseurs, Presidente per il Belgio dell’Associazione Professionale Cuochi, Fabio Tira nasce a Lumezzane (BS) nel 1969. Dopo aver lavorato con importati Maestri di cucina viaggia per tutta la Penisola alla ricerca di fantasia nella creazione di pietanze innovative e accrescendo la sua esperienza professionale. Da sempre crede che la cucina, anche semplice, possa diventare un’arte da presentare nel migliore dei modi con fantasia e qualità. Le sue prelibatezze soddisfano i palati più esigenti e solo l’amore per il suo lavoro fa si che la creazione diventi arte…

Chef Fabio come è iniziata la sua passione per la buona cucina?
La mia passione inizia da bambino, accanto a mia Madre che era una grande cuoca, e io essendo figlio unico, mi sono ritrovato ad aiutarla in cucina...da allora non ho mai smesso di cucinare

Secondo lei, cosa è cambiato negli anni, il cliente è più esigente nella scelta del menù o si affida ai consigli dello Chef?
Sicuramente negli ultimi anni, il cliente è diventato molto più esigente, non si va più al ristorante solo per mangiare, ma soprattutto per degustare piatti nuovi e nuovi abbinamenti, cosa che a casa propria non si ha la possibilità o la capacità di realizzare. Il cliente e’ diventato inoltre più attento ai prodotti e sicuramente più istruito su ciò che riguarda la ristorazione

Stiamo attraversando a detta di molti un periodo di crisi… cosa consiglia a chi decide di intraprendere una carriera come la sua?
Questo lavoro lo si fa esclusivamente per passione, la crisi ha sicuramente influito molto negli ultimi anni, soprattutto sulla qualità e nella professionalità offerta. Molti ristoratori, hanno compiuto dei tagli al prodotto di prima qualità e al personale professionista, rivelandosi in seguito una stategia controproducente di marketing. Fortunatamente non tutti hanno optato per questa soluzione, e infatti abbiamo avuto modo di verificare che i ristoranti di livello che hanno mantenuto gli stessi standart, hanno si avuto un calo, ma hanno mantenuto la propria clientela. Comunque il mio consiglio ai giovani è quello di affidarsi ai Maestri e di camminare piano piano, in questo lavoro i risultati arrivano con il tempo e con l’esperienza sul campo.

Lei ha vinto molti titoli e premi. Hanno influito nelle sue scelte professionali e nella sua carriera?
I premi fanno sicuramente piacere e sono anche diciamo la benzina che ti spinge ad ottenere sempre di più da noi stessi, ma sicuramente come detto prima, solo l’amore e la passione per questo mestiere ti danno la forza di andare avanti e di ottenere determinati risultati

Dopo tutti questi anni riserva ancora un sogno nel cassetto da realizzare?
Il mio sogno…..beh come tutti gli Chef, sarebbe quello di aprire un ristorante mio.

Un ultima domanda Chef. Sono molte le persone che leggono la nostra rubrica e le chiedo di fare loro un regalo… se dovesse preferire tra le sue tante creazioni gastronomiche quella a cui non rinuncerebbe mai quale sceglierebbe? E può regalarci la sua ricetta?
Personalmente amo un po tutte le mie ricette, ognuna di loro ha una sua anima e una sua particolarità…..ne lascio comunque un paio realizzate nell’ultimo mese

Grazie a Fabio Tira e gustiamoci ora le sue preparazioni gastronomiche.


Ennio Baccianella
Direttore EventiDOP.com

venerdì 8 marzo 2013

Cesio in cinghiali Valsesia Balduzzi attiva Nas e Noe


Cesio in cinghiali ValsesiaCesio in cinghiali Valsesia
- Tracce di cesio 137, oltre la soglia prevista dal regolamenti in caso di incidente nucleare, sono stati trovati nella lingua e nel diaframma di 27 cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia, in provincia di Vercelli. Sono stati analizzati campioni di capi abbattuti nel 2012/2013. Il Ministro della Salute attiva i Carabinieri del Nas e del Noe
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