mercoledì 20 agosto 2014

Latte con aflatossine: il vero scandalo è che è stato commercializzato per 5 mesi e le autorità lo sapevano

Bottles of milk
L’illecito registrato nel Consorzio Latterie Friulane consisteva nel miscelare partite di latte con aflatossine con latte destinato all’alimentazione
Poche settimane fa tra Veneto e Friuli è scoppiato il caso del latte con aflatossine messo in vendita dal Consorzio Latterie Friulane. La storia ha avuto una certa risonanza sulla stampa locale e nazionale, come spesso succede quando la frode riguarda alimenti di largo consumo.

La vicenda inizia il 12 dicembre 2013 quando la Latteria Soligo di Treviso (l’unica tra i dieci acquirenti del medesimo lotto) restituisce alleLatterie Friulane, una partita di 3.504 confezioni di latte perché “non conforme”. Il sistema di autocontrollo dell’azienda trevigiana ha rilevato la presenza di aflatossine M1 in quantità cinque volte superiori ai limiti di legge. A questo punto la procura di Udine apre un’indagine che affida al Nucleo anti sofisticazioni dei carabinieri (Nas). Il lavoro di investigazione dura cinque mesi e porta alla luce almeno sei illeciti. Nelle frodi erano coinvolti allevatori e personale del Consorzio Latterie Friulane. Il reato consisteva nel miscelare partite di latte contaminato da aflatossine con latte destinato all’alimentazione umana, in questo modo si diluiva la presenza delle tossine ottenendo un prodotto con valori entro i limiti di legge.

Gli episodi si ripetono per mesi, fino a quando il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Udine emette un’ordinanza il 27 maggio, in cui dispone misure cautelari per Rino Della Bianca, responsabile dell’approvvigionamento per il Consorzio delle Latterie Friulane, mentre altre 13 persone tra colleghi e allevatori sono indagate.

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Le aflatossine sono prodotte dal fungo Aspergillus Flavus che spesso attacca granaglie, mais, cotone e semi oleosi
La soglia di attenzione per l’aflatossina M1  nel latte scatta a 0,040 μg/kg (microgrammo per chilo) (*), e già in questo caso le aziende che riscontrano questi valori devono avvisare il Servizio veterinario delle Ausl. Se invece si supera il limite di legge di 0,050 μg/kg, oltre alla segnalazione all’autorità competente, l’azienda non può per diversi giorni conferire il latte, e quello contaminato va smaltito, fino a che non si è trovata ed eliminata la partita di mangime infestato, e i valori non tornano entro i termini consentiti.

L’aspetto interessante è che in questi sei mesi l’autorità sanitaria di Udine non ha mai ricevuto segnalazioni da parte delle Latterie Friulane. Cosa succedeva? Durante i sei illeciti documentati dai Nas nel corso delle indagini, gli allevatori conferivano al consorzio partite con un livello elevato di aflatossine, che invece di essere bloccate e distrutte, venivano diluite con latte sano e distribuite. Dopo queste miscelazioni illegali, secondo i resoconti dell’inchiesta, nessuno del consorzio si preoccupava di effettuare analisi per verificare se effettivamente le sostanze pericolose risultavano al di sotto dei limiti.

Milk shelf
Come mai le autorità non abbiano immediatamente disposto il ritiro del latte?
Fino a qui è la cronaca di un malaffare purtroppo abbastanza diffuso nel settore alimentare. Dopo aver approfondito questa ennesima scomoda vicenda sorgono alcune perplessità.
Sull’ordinanza cautelare del 27 maggio, si legge che le autorità erano a conoscenza dell’immissione sul mercato di latte contaminato, da almeno cinque mesi. In particolare a pagina 29 si legge: “La miscelazione almeno in un caso accertato aveva determinato l’immissione in commercio di una partita di latte contenente aflatossine in misura notevolmente superiore al limite di legge e quindi sicuramente pericoloso per la salute umana”.
È lecito chiedersi come mai le autorità, a conoscenza della situazione dal mese di dicembre del 2013, non abbiano immediatamente disposto il ritiro del latte. La scelta di lasciare sul mercato dei lotti contaminati era forse legata a necessità investigative? In questo caso sono state effettuate delle analisi per valutare l’effettiva innocuità (o meno) dei prodotti che i consumatori acquistavano al supermercato?
L’azienda Soligo, grazie alle rigorose auto-analisi che impone sui prodotti forniti da terzi, ha respinto 3mila litri di latte perché “non conforme”. Avrebbe potuto segnalare l’eccesso della micotossina alle autorità sanitarie del territorio anche se si trattava solo del distributore?
L’obbligo di segnalare questo genere di irregolarità non dovrebbe ricadere su ciascun attore della filiera?
Fino a che punto si può procrastinare la sicurezza dei consumatori al fine di raccogliere più materiale per le indagini o per salvaguardare interessi aziendali?

Give me milk
Chi stabilisce quando le indagini dei Nas devono essere interrotte perché circolano alimenti pericolosi?
Il paradosso è che l’allerta aflatossine scatta dopo sei mesi, in concomitanza alla conferenza stampa dei Nas. A questo punto però diventa urgente e le Asl devono verificare la tracciabilità del latte e intervenire in tutti i punti vendita e gli esercizi che hanno acquistato anche piccole partite di latte dalle Latterie Friulane, da utilizzare magari come ingrediente secondario di altre preparazioni alimentari.
Che senso ha intervenire adesso con la massima allerta quando per mesi è stato distribuito ai cittadini latte con aflatossine, riconosciuto pericoloso per la salute? Chi stabilisce quando le indagini dei Nas devono essere interrotte perché circolano alimenti pericolosi e quando invece bisogna andare avanti per acquisire più elementi per le indagini?

Le aflatossine sono prodotte dal fungo Aspergillus Flavus che spesso attacca granaglie, mais, cotone e semi oleosi. Le vacche da latte, alimentate con mangimi contaminati, contenenti fungo e l’aflatossina B1, la metabolizzano e la trasformano in aflatossina M1. La prima è classificata dallo IARC (International Agency for Research on Cancer), la massima autorità scientifica internazionale in materia, come “sicuramente cancerogena” (provocano cancro al fegato). La forma M1 (derivato metabolico dalla B1) si può trovare nel latte ed è classificato come “possibile cancerogeno”. L’Italia è particolarmente soggetta al problema perché questi miceti si sviluppano in condizioni di stress della pianta durante la coltivazione, come l’aridità dei terreni o un clima troppo caldo, e poi proliferano nelle fasi successive di raccolta e di stoccaggio.

Valeria Nardi

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