La classifica, riportata sul Journal of Food Science, è stata stilata da Jeffrey Moore, della Michigan State University, in base ai dati contenuti in oltre 1.300 segnalazioni di frodi (1.000 provenienti da esperti e 250 dai media e 50 da altre fonti).
Al di là della notizia,
molto interessante anche per l'Italia che produce, ed esporta tutti i sette prodotti, uno degli scopi principali del lavoro è trovare una definizione condivisa di frode. Secondo gli autori è "una deliberata sostituzione, aggiunta, manomissione o adulterazione del cibo, dei suoi ingredienti o del suo confezionamento, oppure la segnalazione di effetti falsi o equivoci, fatta a scopi economici". C'è anche una definizione ancora più specifica, proposta dallo USP Expert Panel on Food Ingredient International Adulterants, in cui la frode viene definita come "L'aggiunta fraudolenta di sostanze non autentiche, ovvero la rimozione o la sostituzione delle sostanze originarie senza che l'acquirente ne sia informato, fatta a fini economici".
Moore ha scritto polemicamente presentando il compendio: «Dal momento che il problema delle frodi alimentari non viene preso nella giusta considerazione, tranne quando la segnalazione arriva da una rivista scientifica, abbiamo pensato di pubblicare i principali dati presenti nel database USP sul Journal of Food Science, sperando che ciò aumenti l'attenzione e contribuisca a proteggere meglio i consumatori». Moore continua dicendo che le frodi alimentari moderne possono essere più pericolose delle contaminazioni tradizionali, in quanto sono spesso realizzate con ingredienti non convenzionali in grado di sfuggire alle analisi.
«Forse - scrive ancora il ricercatore - se i dati del 1979 fossero stati a disposizione di chi si occupa di identificare i rischi tutto ciò non sarebbe successo. Inoltre la giusta considerazione di quei primi casi avrebbe stimolato la ricerca di metodi analitici più specifici e sensibili».
Lo stesso esperto si rende conto di quanto sia impossibile riuscire ad individuare tutte le frodi alimentari. A volte le adulterazioni sono realizzate con sostanze indistinguibili rispetto a quelle sostituite, come è accaduto con la glicerina rimpiazzata dal glicole dietilenico nel vino, con l'anice cinese, innocuo, sostituito con quello giapponese, tossico o con alcune spezie rimpiazzate dal tetraossido o dal cromato di piombo, altamente tossici.
E' pure vero che un archivio internazionale e aperto può aiutare molto. Per esempio, è emerso che il 95% delle segnalazioni riguarda la sostituzione - parziale o totale - di un ingrediente costoso con uno più economico, come avviene classicamente per l'olio di oliva con oli di semi. Inoltre, per quanto riguarda i sistemi di analisi, la raccolta dei dati ha portato già a proporre un approccio che punta sulla verifica dell'assenza della sostanza ritenuta contaminante.
«Ciò - conclude Moore - va benissimo se si sa cosa si sta cercando, ma non è certo il miglior sistema quando non si conosce la sostanza usata per la contrafazione. Avere a disposizione esempi dell'alimento può essere poi utile per cercare eventuali adulterazioni uguali o simili ad altre già scoperte.»
Agnese Codignola
Foto: Photos.com
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