Per avere qualche elemento utile, l’associazione no profit As You Sow, che lavora per favorire un comportamento etico da parte delle grandi aziende, ha chiesto a 2.500 società americane ( molte delle quali multinazionali come Pepsi Cola, Whole Foods, Taco Bell e Pizza Hut…), di fornire delucidazioni in merito. La prima sgradita sorpresa è che hanno risposto soltanto 26 aziende. Di queste, solo 14 hanno affermato di non utilizzare nanoparticelle e soltanto due di avere specifiche regole aziendali sul loro impiego. Quasi tutte hanno detto di essere interessate alle nanoparticelle perché possono rendere i colori più brillanti, far diventare le creme più soffici e migliorare la conservabilità di alcuni cibi, senza però rivelare i loro progetti futuri.
Per questi motivi, la stragrande maggioranza di questi studi invita alla prudenza e all’applicazione del principio di precauzione. Principio che al momento, vista la crescita esponenziale dei nanomateriali, non sembra essere il filo conduttore di normative ancora molto lacunose e disomogenee. Secondo alcune rilevazioni, nel mondo ci sarebbero già più di 800 prodotti commercializzati in versione nano da 400 aziende in 21 paesi, in genere le sostanze di dimensioni nano sono utilizzate non solo nei cibi ma anche nel packaging, nei cosmetici e in molti altri prodotti.
Nello scorso mese di aprile anche la FDA ha preso posizione, dichiarando di non avere abbastanza elementi per esprimersi in maniera netta sulla sicurezza, mentre la Environmental Protection Agency sta conducendo molte analisi.
In attesa che gli studi possa dire una parola chiara su eventuali rischi, sarebbe bene che i consumatori potessero almeno sapere se nel prodotto che stanno acquistando ci sono questi materiali in versione nano, per scegliere liberamente se acquistarli o meno.
Agnese Codignola
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