La bioplastica si trova al punto in cui era la plastica cinquant'anni fa. Ne sappiamo abbastanza per essere verdi. Cardi, funghi, granturco, castagne o alghe per produrre bottiglie, giocattoli, spazzolini da denti e, un giorno, perfino un'auto (naturalmente elettrica). La chimica verde sostituirà sempre di più il petrolio per realizzare materie artificiali, ma anche sostanze usate in cosmetica e farmacologia. E l'Italia è all'avanguardia
di VALERIO GUALERZIPuò sembrare un dettaglio da addetti ai lavori, ma al mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti. Il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terra sostanze organiche, o di finire nel terreno, compromettendo la fertilità del suolo. Il brevetto messo a punto dai ricercatori guidati da Mario Malinconico non ha però solo il vantaggio di essere composto da sostanze organiche. Può essere utilizzato anche sotto forma di spray e non ha bisogno di essere rimosso, funzionando anzi da ammendante del suolo.
"Le bioplastiche sono un affascinante orizzonte dell'innovazione orientata alla sostenibilità - spiega Ezio Riggi, il ricercatore del Cnr - La sinergia fra un caleidoscopio di competenze scientifiche,
L'esperienza forse più interessante è quella inaugurata in Sardegna. Racconta una leggenda tedesca che in un luogo dove era stato commesso un omicidio cresceva ogni giorno un cardo dalla forma che ricordava una persona. Qualcosa di simile sta accadendo a Porto Torres: lì dove la crisi ha ucciso uno dei poli chimici più importanti del Paese, di cardi ne stanno nascendo interi campi. Sono le piante che serviranno ad alimentare il nuovo impianto di Matrica, una joint venture tra Eni-Versalis e Novamont per la produzione di bioplastiche. Questa pianta rustica, che cresce anche su terreni marginali o da bonificare, ha pretese modeste. Si accontenta dell'acqua piovana e non ha bisogno di fertilizzanti o fitofarmaci. Non inquina, dunque, e non sottrae né risorse idriche né zone fertili all'agricoltura. Questo è un punto chiave, dato che al momento il mais è probabilmente la materia prima vegetale più collaudata della chimica verde. Anche l'Apinat, per esempio, un altro brevetto di bioplastica italiana dalle molteplici applicazioni (dagli spazzolini da denti alle suole delle scarpe), è basato sul granturco. Allo stesso modo un'altra pianta dal grande valore nutritivo, la canna da zucchero, è al centro degli sforzi per rendere bio il Pet, il polietilene tereftalato con cui vengono fabbricate le bottiglie.
Dopo il primo incoraggiante successo delle bioplastiche da pacciamatura con i pomodori, la sfida del futuro è quindi quella di attingere a ciò che resta della lavorazione di viti, alghe, agrumi, castagne e prodotti della pesca. Tutti materiali che al momento rappresentano un costo di smaltimento e che invece possono diventare ingredienti base di varie sostanze chimiche usate anche nella cosmetica e nella farmacologia. "Se dovessi fare il nome di una pianta di cui sentiremo parlare in futuro è la brassica carinata, il cavolo abissino: possiede un pannello proteico dalle qualità fumiganti e si sta lavorando per ricavarne un potente bio-erbicida", spiega Catia Bastioli.
Ma la novità forse più suggestiva arriva dagli Stati Uniti. L'azienda Ecovativedesign ha brevettato un sistema che permette di realizzare sostanze simili al polistirolo e alle schiume plastiche attraverso la coltura di funghi. Le spore vengono fatte crescere direttamente su scarti vegetali in stampi della forma desiderata. Nel giro di una settimana, senza bisogno di acqua, luce o sostanze chimiche, l'intreccio dei miceli produce una speciale plastica sostenibile. Per il momento sono in vendita i primi contenitori (per esempio dei gusci salva bottiglie), ma alla Ecovativedesign promettono l'imminente lancio di materiali per l'edilizia e le carrozzerie auto. Chissà, forse saranno pronti per lo sbarco in grande stile della macchina elettrica.